Diritto penale

Maltrattamenti in famiglia: è necessaria la convivenza?

By Maggio 5, 2020 Maggio 21st, 2020 No Comments
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Il reato di maltrattamenti in famiglia, previsto e punito dall’articolo 572 del codice penale, è una delle fattispecie criminose del cosiddetto “codice rosso”, per le quali la legge 69/2019 ha previsto maggiori tutele. Con il termine di “maltrattamenti”, come vedremo in seguito, non si intendono solamente comportamenti riconducibili alla violenza fisica, ma altresì vessazioni di tipo psicologico e morale. Il reato di maltrattamenti in famiglia può pacificamente configurarsi anche nei confronti di soggetti soltanto conviventi, non legati da un vincolo familiare. È discusso, invece, se la convivenza sia sempre necessaria o se basti la sussistenza di un legame affettivo.

Il reato di maltrattamenti in famiglia: in cosa consiste

Subire delle violenze fisiche, verbali o psicologiche all’interno di un nucleo familiare rappresenta una condotta talmente grave e abietta, che il legislatore ha creato una fattispecie ad hoc, che punisce comportamenti che, presi singolarmente, integrerebbero altri reati o sarebbero giuridicamente irrilevanti.

Il reato di cui all’articolo 572 del codice penale è un reato abituale. Gli episodi di violenza (fisica o psicologica) devono essere continuativi e stabili.

Ciò significa che il soggetto responsabile deve porre in essere le condotte abitualmente ed in modo ripetuto, anche se per un periodo di tempo limitato.

Nel caso di litigi di coppia, sfociati, in un unico episodio, in violenza fisica, tale condotta non è, di per sé, sufficiente ad integrare il reato di “maltrattamenti in famiglia”. L’episodio di violenza è, in ogni caso, penalmente rilevante, ma riconducibile ai reati di percosse, lesioni o, se violenza verbale, di minaccia.

I maltrattamenti “invisibili”

Come già accennato, gli atti continuativi e abituali di violenza non sono solo quelli di natura fisica.

Integrano, infatti, la fattispecie di cui all’art. 572 c.p. anche le umiliazioni verbali, dalle quali possa derivare un clima di tensione e agitazione all’interno dell’intero nucleo familiare.

È necessario, in questo caso, che il “colpevole” riesca ad esercitare una rilevante forza oppressiva nei confronti della vittima, soggezione, questa, che si esplica anche solamente offendendo la dignità della persona offesa con frasi o epiteti (detto anche mobbing familiare).

Recentemente, è stato considerato reato di maltrattamenti anche il comportamento di chi esclude completamente il coniuge o il convivente dalla partecipazione alla vita familiare con i figli, impedendogli di instaurare un rapporto autentico con gli stessi ed estromettendolo dalla vita familiare in genere.

Maltrattamenti in famiglia nella convivenza more uxorio

La Legge 1 ottobre 2012 n.172 ha esteso questa fattispecie di reato anche ai soggetti che sono tra loro meramente conviventi.

La Suprema Corte di Cassazione ha successivamente specificato, in più pronunce, che, per integrare tale fattispecie di reato, la convivenza more uxorio (con tale espressione si intende, dal punto di vista giuridico, la convivenza tra due persone senza aver contratto matrimonio) può avere una durata anche molto breve.

In particolare la Cassazione ha affermato che “… il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di persona convivente more uxorio quando si sia in presenza di un rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto, instaurato tra le due persone, con legami di reciproca assistenza e protezione(Cass. Pen., Sez. VI, n. 21329, 29 gennaio 2008). Quello che rileva, quindi, non è tanto l’effettiva durata della coabitazione, quanto la progettualità di una vita in comune.

Maltrattamenti in famiglia tra soggetti non conviventi: sono configurabili?

Una questione discussa riguarda la possibilità di commettere il reato di maltrattamenti in famiglia in danno di un soggetto non convivente. La Corte di Cassazione ha, nel tempo, adottato due orientamenti differenti.

Con la sentenza n. 31121/14 la Suprema Corte ha ritenuto che la norma di cui all’art 572 c.p. non riguardi solo i nuclei familiari, bensì qualunque relazione che implichi l’insorgenza di vincoli affettivi assimilabili a quelli tipici del nucleo familiare. Non sarebbe, dunque, necessaria la convivenza.

Recentemente, la Corte di Cassazione ha cambiato orientamento. Con la sentenza n. 37628/19 ha chiarito che “il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche al di fuori di una famiglia legittima, ma necessaria è la presenza di un rapporto di stabile convivenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, purché sia stata istituita in una prospettiva di stabilità”.

Oggi, dunque, si ritiene necessaria la convivenza.

È possibile ottenere un risarcimento danni?

Le vittime di maltrattamenti in famiglia hanno diritto ad ottenere un risarcimento per i danni derivanti dalle violenze e vessazioni, che si sono trovate a subire ingiustamente.

Il consiglio è quello di rivolgersi ad un avvocato con esperienza in diritto penale e responsabilità civile, per farsi assistere nel deposito di una querela nei confronti del responsabile.

Nonostante, infatti, il reato di maltrattamenti in famiglia sia perseguibile d’ufficio (e, dunque, le indagini inizieranno anche senza la richiesta in tal senso della persona offesa), gli episodi spesso rimangono confinati all’interno dell’ambito familiare e senza la volontà e il coraggio della vittima, che decide di denunciare, i colpevoli finiscono per farla franca.

Con il proprio legale si può, poi, valutare se avanzare una richiesta di risarcimento danni direttamente nel processo penale, costituendosi parte civile, o in sede civile.