
Il Decreto Legge n. 101/2019 ha introdotto, per la prima volta, delle tutele per la categoria dei rider. Queste tutele sono state, poi, integrate da un’importante sentenza della Corte di Cassazione di gennaio 2020, che ha finalmente chiarito il dubbio se i rider siano lavoratori autonomi o subordinati.
DI COSA PARLIAMO
Chi sono i rider?
Con il termine “rider” si fa riferimento a quei soggetti che lavorano per grandi piattaforme digitali di food delivery come, ad esempio, Just Eat, Deliveroo, Glovo, e così via. Essi svolgono le loro mansioni consegnando a domicilio (in bicicletta o in motorino) i pasti preparati da ristoranti e pizzerie e vengono pagati a consegna o all’ora. Il loro lavoro è completamente digitalizzato. Il rider riceve l’ordine di consegna direttamente sul proprio smartphone, con l’indicazione dell’indirizzo del ristorante in cui ritirare il pasto pronto e il domicilio del cliente destinatario.
Rider: sono lavoratori subordinati o autonomi?
Ci si è chiesti se i rider debbano essere considerati lavoratori subordinati o autonomi. Questa spinosa questione è stata risolta solo nel gennaio 2020 con un’importante sentenza della Corte di Cassazione che, finalmente, ha dato risposta, una volta per tutte, a questo quesito.
Ma procediamo con ordine. Prima di questa pronuncia, i rider erano considerati lavoratori autonomi, poiché, alla ricezione dell’ordine di consegna, sono liberi di accettare o meno l’incarico. Questo aspetto, secondo alcuni, era ed è l’elemento caratterizzante che inquadra il lavoro dei riders come autonomo: il potere di scelta se portare o meno a termine un ordine di consegna a domicilio. Naturalmente, il fatto di considerare i rider come lavoratori autonomi li priva di tutti quei diritti che sono tipici del lavoro subordinato. Pensiamo, ad esempio, alla retribuzione minima obbligatoria, i contributi previdenziali e assistenziali, le tutele contro il licenziamento illegittimo, le salvaguardie contro eventuali infortuni sul lavoro e così via.
I rider nel Decreto Legge 101/2019
Un primo, piccolo traguardo si è iniziato ad intravedere con il Decreto Legge 101/2019 (Decreto per tutela del lavoro e risoluzione di crisi aziendali), che ha introdotto alcune piccole, ma significative, tutele per i lavoratori su piattaforme digitali, in particolar modo per i rider. Per questi ultimi, viene stabilito un corrispettivo minimo, valutato sulla base delle consegne effettuate, in modo tale che il programma retributivo risulti più incentivante per i lavoratori stessi. Un’altra importante innovazione riguarda il riconoscimento di una copertura assicurativa obbligatoria INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante in quanto il rischio che i rider possano incorrere in infortuni durante le consegne è molto elevato. Gli stessi, infatti, muovendosi nel traffico con biciclette o motorini (spesso nelle ore di punta), possono facilmente rimanere vittima di incidenti. Un’altra importante novità di questo decreto è, infine, la previsione di un’indennità integrativa, non inferiore al 10%, nel caso in cui il lavoro di consegna venga effettuato in orari notturni, nei giorni festivi o in condizioni meteorologiche particolarmente avverse
Il caso Foodora
L’interrogativo circa la natura subordinata o autonoma del lavoro dei rider ha avuto come punto di partenza la nota sentenza del Tribunale di Torino riguardante il “caso Foodora”. In questa causa, intentata contro la società Foodora, alcuni fattorini chiedevano che la loro prestazione lavorativa fosse considerata, a tutti gli effetti, come lavoro subordinato a tempo indeterminato. In particolar modo, gli attori (i rider) rimarcavano come la loro attività avesse tutte le caratteristiche tipiche del lavoro dipendente. Infatti, la Società, in più occasioni, provvedeva a sollecitare le consegne e aveva la possibilità di verificare il ritardo o meno nel compimento delle stesse, grazie ad una semplice app. Secondo i rappresentanti della piattaforma digitale Foodora, invece, la natura lavorativa dei rider sarebbe identificata come una “collaborazione continuativa”, e non come un rapporto di lavoro subordinato. Questa considerazione era giustificata dal fatto che “… il rapporto di lavoro intercorso tra le parti era caratterizzato dal fatto che i ricorrenti (i rider) non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa ed il datore non aveva l’obbligo di riceverla. Le telefonate di sollecito durante l’effettuazione della consegna rientravano nelle esigenze di coordinamento dettate dalla necessità del rispetto dei tempi di consegna e non potevano essere assimilate ad un ordine specifico, né costituire esercizio di assidua attività di vigilanza e controllo” (Trib. Torino, Sez. Lavoro, n. 778, 7 maggio 2019).
Contratto e diritti dei rider: sono lavoratori subordinati
Un punto di svolta si è avuto con la recentissima sentenza della Corte di Cassazione del 24 gennaio 2020 (n. 1663) con la quale, una volta per tutte, il rapporto di lavoro dei rider viene definito come subordinato. In particolare, i giudici della Corte hanno stabilito che, quando l’attività lavorativa dei rider consiste in un’attività personale, continuativa e con il medesimo datore di lavoro, trova applicazione in tutto e per tutto la disciplina del contratto di lavoro subordinato. La stessa normativa si applica, inoltre, tutte le volte in cui le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa siano pianificate e predisposte unilateralmente dal committente. È stata questa una scelta volta a far sì che categorie economicamente “deboli” come i rider siano tutelate alla stessa stregua dei lavoratori dipendenti. Questa è stata, per i rider, un’importante vittoria da punto di vista umano e lavorativo poiché la loro professione, talvolta molto più di altre, è soggetta a frequenti rischi ed ha la triste possibilità di sfociare in episodi di sfruttamento.