
Alla morte di un soggetto si apre la successione ereditaria. Con la successione, gli eredi subentrano non solo nelle proprietà che il defunto (definito, in termini giuridici, de cuius) aveva in vita (denaro, immobili, ecc), bensì anche in eventuali debiti e passività che gravavano sul caro estinto (debiti, mutui, imposte non pagate, ecc…).
Gli eredi, pertanto, subentrano nei rapporti facenti capo al defunto nella loro totalità. Per evitare che il proprio patrimonio possa essere intaccato dai debiti ereditari, il nostro ordinamento ha previsto due diversi strumenti a favore dell’erede: il beneficio d’inventario e la rinuncia all’eredità.
Ecco come tutelarsi dai debiti ereditari con la rinuncia all’eredità.
DI COSA PARLIAMO
I debiti ereditari e la loro suddivisione
Per “debiti ereditari”, si intendono “… tutti quelli che gravano sul de cuius al momento della sua morte”, compresi “… gli interessi scaturenti dal rapporto debitorio maturati successivamente alla sua morte” (Cass. n. 5473 del 2008). Sono esclusi da questa definizione i debiti che, per loro natura, sono strettamente personali e, perciò, intrasmissibili (come, ad esempio, le pene pecuniarie), i quali “muoiono” insieme al de cuius.
Una categoria distinta è quella dei c.d. “pesi ereditari”, ossia qualsiasi obbligazione pecuniaria sorta successivamente alla morte del de cuius e collegata alla stessa o alla successione, come le spese funerarie o le spese di amministrazione del compendio ereditario o per la divisione dello stesso.
In materia di divisione dei debiti ereditari, l’art. 752 del Codice Civile prevede che “I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto”.
Gli eredi rispondono solidalmente o pro quota dei debiti ereditari?
Il già citato art 752 del codice civile non lascia spazio a dubbi in merito alla configurabilità di una responsabilità solidale o pro quota degli eredi.
I coeredi contribuiscono al pagamento dei debiti ereditari in proporzione alle loro quote ereditarie. Pertanto, se uno dei coeredi non paga la propria parte del debito comune, il creditore non può rivalersi sugli altri.
Questa regola, applicabile a tutti i debiti del de cuius, compresi, in genere, quelli fiscali, prevede un’importante eccezione.
Per le imposte sui redditi e l’imposta di successione vale, infatti, il principio della solidarietà passiva. Ciò significa che l’Agenzia delle Entrate può richiedere l’intero importo dovuto dal de cuius a uno qualunque degli eredi. L’erede che sarà chiamato a pagare l’imposta ha, poi, il cosiddetto diritto di regresso, ovvero la possibilità di rivalersi sugli altri eredi nei limiti delle rispettive quote.
Nel testamento è possibile lasciare i debiti ad un solo erede?
Le regole sulla suddivisione dei debiti possono essere derogate dal testatore, che ha la piena libertà di suddividere i debiti ereditari in maniera difforme tra i vari eredi, anche in modo non equo.
Secondo dottrina e Giurisprudenza, questa facoltà si estenderebbe, in maniera del tutto lecita, anche se, per alcuni, moralmente scorretta, alla possibilità, per il testatore, di far gravare i debiti anche su di un solo erede.
Questa determinazione riguarda, tuttavia, solo i rapporti tra gli eredi. I creditori, infatti, possono continuare ad agire pro quota nei confronti dei singoli eredi, a prescindere da quello che prevede il testamento.
Come tutelarsi dai debiti di un parente defunto?
Gli eredi hanno la possibilità di tutelarsi da eventuali debiti del parente defunto, mediante la rinuncia all’eredità e l’accettazione con beneficio d’inventario.
Tutelarsi dai debiti ereditari con la rinuncia all’eredità
La rinuncia all’eredità è la scelta ideale nel caso in cui i debiti siano superiori ai crediti.
In questa ipotesi, il chiamato all’eredità deve rinunciarvi espressamente per mezzo di una dichiarazione che può essere ricevuta dal Notaio o dal Cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, ai sensi dell’articolo 519 del Codice Civile.
In ogni caso, è prudente farsi assistere da un avvocato con esperienza in materia di successione, che vi guidi in ogni fase.
Se il chiamato all’eredità non si trova nella materiale disponibilità dei beni ereditari, ha 10 anni di tempo dall’apertura della successione per rendere la dichiarazione.
Se però l’erede, al momento dell’apertura della successione, si trovava nella diretta disponibilità dei beni del defunto (ad esempio vive in una casa che era di sua proprietà o utilizza la sua autovettura), la rinuncia dev’essere effettuata entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione.
Se il chiamato all’eredità non esercita questa facoltà entro il termine di 3 mesi, verrà considerato come “erede puro e semplice” e subentrerà nei crediti e nei debiti del defunto senza poter più rinunciare all’eredità.
Tutelarsi dai debiti ereditari con l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario
L’altra alternativa alla rinuncia all’eredità, che abbiamo già citato precedentemente, è l’accettazione della stessa con beneficio di inventario. Con questo procedimento, il chiamato all’eredità diventa in tutto e per tutto erede, ma pone una distinzione ben definita (una sorta di barriera) tra il proprio patrimonio e quello che ha appena ereditato dal de cuius, evitando così la confusione dei due patrimoni.
La conseguenza di ciò è che i creditori potranno rivalersi solamente sui beni che sono pervenuti all’erede in virtù della successione, e non su quelli di cui era già proprietario.
Cosa accade ai debiti se nessuno accetta l’eredità?
Può accadere che, al momento dell’apertura della successione, tutti i chiamati all’eredità decidano spontaneamente di rinunciare all’eredità del de cuius.
In questo caso, i creditori del defunto rimarranno inevitabilmente insoddisfatti.
Ai creditori rimane la possibilità, in extrema ratio, di impugnare, entro 5 anni, la rinuncia dell’eredità, nei casi in cui abbia provocato loro un danno concreto e nel caso in cui il debitore non disponga di propri averi e/o beni in misura sufficiente a consentire, mediante il pignoramento degli stessi, il soddisfacimento dei creditori.
In questo caso, il giudice autorizza i creditori impugnanti ad accettare l’eredità al posto degli eredi rinuncianti, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti.
La rinuncia dell’eredità: quanto costa?
La rinuncia all’eredità si concretizza in una dichiarazione formale resa innanzi ad un notaio o al cancelliere del Tribunale del luogo presso cui si è aperta la successione.
La scelta sulla modalità in cui effettuare la rinuncia all’eredità incide anche sull’aspetto economico.
Per quanto concerne l’aspetto economico della rinuncia all’eredità, nel caso in cui ci si rivolga al notaio, si deve versare il suo onorario; se, al contrario, ci si reca dinanzi la cancelleria del Tribunale, sarà sufficiente l’acquisto di una marca da bollo e la relativa imposta di registro di euro 200,00 (dati aggiornati all’anno 2020). In quest’ultimo caso, potreste valutare di farvi assistere da un avvocato competente in materia successoria.
Rinuncia all’eredità: chi subentra agli eredi rinuncianti?
Nel caso in cui uno degli eredi rinunci all’eredità, nasce l’interrogativo di chi possa prendere il suo posto nell’accettazione del lascito che è stato rifiutato dal soggetto precedente.
Innanzitutto, bisogna distinguere il caso della successione legittima (in assenza di testamento) da quello della successione testamentaria. Nel primo caso, se oltre al soggetto rinunciante ci sono altri eredi legittimi, la parte di colui che rinuncia viene ripartita equamente tra questi.
Nel secondo caso, la parte del rinunciante viene equamente divisa tra gli altri coeredi testamentari. Se non ve ne sono, l’eredità si divide tra gli eredi legittimi.
Se vi sono dei debiti, anche i soggetti successivamente chiamati all’eredità possono esercitare il diritto alla rinuncia dell’eredità.
Rinuncia all’eredità prima della morte del de cuius. È possibile?
La risposta a questo interrogativo ci viene data dall’articolo 458 del Codice Civile, secondo il quale “… è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”.
Questa norma vieta esplicitamente i cosiddetti “patti successori”, ovvero qualsiasi convenzione, intesa o accordo con cui un soggetto disponga, accetti o rinunci a diritti ereditari prima dell’apertura della successione. I patti successori sono inderogabilmente nulli nel nostro ordinamento.
Le motivazioni alla base di un divieto così perentorio si collocano sia su un piano economico, che prettamente morale.
Con il divieto dei patti successori si vuole evitare la possibilità che venga dilapidato il patrimonio ereditario ancor prima di averlo ricevuto e, allo stesso modo, scongiurare l’eventualità che un soggetto sia portato a desiderare in maniera troppo veemente la morte prematura di un proprio caro al fine di ottenere in eredità ciò che l’altro soggetto gli ha promesso.